Questa guida è il punto di riferimento iniziale per mixare i propri brani in casa e con un budget limitato.
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Cosa significa “mixare”?
“Mixare”, da “MIX”, significa letteralmente “miscelare” tutti quei singoli suoni che vanno a comporre una canzone, quindi la voce, il basso, le chitarre, i suoni ritmici come cassa, piattini (hi-hat) e così via.
Il modo più diffuso per fare questo oggi è attraverso un computer e una “DAW”, che sta per Digital Audio Workstation: un software che trasforma il vostro computer in uno studio di produzione virtuale completo e facile da usare.
Le DAW più conosciute di sempre sono Logic Pro X, Ableton Live, Pro Tools, FL Studio, Cubase, etc., ciascuna ottimizzata per un determinato utilizzo o meglio range di utilizzi, per esempio:
- Apple Logic Pro X si presta magnificamente a ogni scopo meno che al live looping, per il quale Ableton Live è specificatamente progettato (o non si chiamerebbe “Live”);
- Pro Tools è l’ambiente ideale per i tecnici del suono a cui non compete l’aspetto prettamente musicale dell’opera, quindi lo scoring, il MIDI Environment e le librerie di VSTi sono sacrificati in funzione di altre potenzialità per semplificare la vita a chi lavora principalmente di registrazione, editing, mixing e mastering;
- FL Studio è particolarmente apprezzato dai beat-maker, ma rispetto alle sopra citate DAW, non offre un’interfaccia granché versatile per operazioni diverse dal comporre, e dal comporre “musica elettronica”, quindi l’ideale sarebbe comporre su FL ed esportare le tracce per poi importarle su un’altra DAW per il mixing e la post-produzione.
- Steinberg Cubase è da sempre il punto di riferimento per chi lavora tanto con il MIDI, ma si presta anche a una vasta gamma di altre mansioni, così come Nuendo, altra DAW di casa Steinberg dotata anche di funzioni extra molto apprezzate dagli sviluppatori di audio per videogiochi e da chi opera anche nella post-produzione e nel video.
IL PRIMO PASSO da compiere è quindi procurarsi una DAW, da scegliere in relazione alle proprie intenzioni e perché no, anche in relazione alla componente visiva e a come vi ci sentite all’impatto: l’interfaccia grafica deve piacervi e ispirarvi, ciò non può passare in secondo piano visto che ci trascorrete molte ore di fronte.
Ad oggi, tantissimi successi planetari di ogni genere musicale sono stati prodotti così, interamente ITB, ossia In The Box, letteralmente “dentro la scatola”: senza mai uscire dal dominio digitale e dalla DAW.
Ma allora perché sorgono ancora studi pieni di strumentazione outboard e il classico mixer gigante?
Perché, evidentemente, è ancora vero che un mix fatto in casa da principianti non può, per ovvie ragioni, sovrapporsi al lavoro di un producer qualificato ed esperto che, con strumentazione rara e finemente messa a punto e in una stanza progettata ad hoc, scolpisce suoni che diventano standard.
Quanto al classico mixer gigante invece, oggi esso è spesso solo uno sfizio, sebbene il feel di un missaggio analogico sia, per certi generi musicali, qualcosa di incredibilmente benefico: è infatti impossibile per natura ricreare digitalmente la magia di un percorso sonoro analogico, ma non in tutti i generi si trae vantaggio dall’uso di determinata strumentazione: tutto dipende, in definitiva, da ciò che si vuole ottenere.
Se si ha una buona preparazione musicale e tecnica, l’audacia di sbagliare e molta buona volontà, è assolutamente possibile ottenere mix estremamente precisi e molto convincenti in totale autonomia, a casa propria e senza spendere soldi.
Essendo questa una guida al missaggio darò per scontato che abbiate già registrato e che lo abbiate fatto secondo criteri corretti, perciò, IL SECONDO PASSO per mixare, dopo aver scelto la DAW giusta, è importare in un nuovo progetto le tracce con estensione WAV dei singoli strumenti.
IL TERZO PASSO È… PREPARARE LE TRACCE PER IL MIXING:
1.DARE UN ORDINE LOGICO ALLA TRACKLIST
Mettete in ordine ogni elemento del brano secondo una tracklist che potreste organizzare così:
SEZIONE RITMICA
BASSO
CHITARRE RITMICHE
TASTIERE, PAD E SYNTH
EFFETTI SONORI (come un riser, una nota al contrario, la radio della polizia…)
CHITARRE SOLISTE
CORI
VOCE PRINCIPALE
oppure in ordine cronologico di apparizione di ciascun elemento durante lo scorrere del pezzo.
Personalmente adotto entrambi i metodi e prediligo il secondo in tutti quei casi in cui l’arrangiamento sia particolarmente complesso o nei casi in cui io non stia lavorando a canzoni, bensì alla sonorizzazione di un cortometraggio, di un audiolibro, un video e cose del genere.
2. IMPOSTARE NOMI E COLORI
(Un esempio di Workspace ordinato e pronto al mixing. Le tracce 1, 4, 13 e 17, come si evince sia dal nome che dalla freccia accanto al Track Number, sono delle Track Stack. – Fonte: Mario Inghes)
Il Workspace deve essere pulito e in ordine. Niente regioni spezzettate, nomi poco chiari e tracklist confusionarie. La parola d’ordine è… “ordine”.
La prima cosa da fare è rinominare le tracce con un nome conciso e chiaro a chi lavora, ad esempio:
K = Kick (grancassa)
SN = Snare (rullante)
GT RTM L = Guitar, Rhythm, Left (chitarra ritmica di sinistra)
GT RTM R = Guitar, Rhythm, Right (chitarra ritmica di destra)
etc.
Se avete più microfoni sul rullante allora adottate:
SN T = Snare Top (rullante microfonato dall’alto)
SN B = Snare Bottom (rullante microfonato dal basso, per riprendere la cordiera)
etc.
Oltre ai nomi, potete assegnare anche dei colori alle tracce, per identificare a colpo d’occhio e con estrema semplicità e velocità gli strumenti appartenenti a una determinata sezione, per esempio:
tutte le tracce di batteria posso farle rosse,
tutte le tastiere bianche,
tutte le tracce di chitarra verdi,
tutte le voci gialle,
e così via.
3. FARE LE ASSEGNAZIONI
(Il workspace con le stack K SUM, SN SUM, BASS SUM e GTR CHO SUM espanse a mostrarne il contenuto. – Fonte: Mario Inghes)
Se, analogamente al rullante del caso sopra, aveste più tracce di un singolo strumento, per esempio la stessa parte di basso presa contemporaneamente da:
- una D.I.,
- dal line out della testata,
- dal microfono posto davanti al cono dell’ampli,
trovereste utile raggrupparle e fare un “blend” (miscelarle fra loro sino a trovare un equilibrio che dia il timbro desiderato), da assegnare in uscita a un Bus, in modo convogliare tutto a un’unica channel strip, con un’unica catena effetti e un unico controllo di volume, in modo da trattare il blend come se fosse una singola traccia.
Perciò passereste da avere:
B DI
B AMP
B MIC
(Stack BASS SUM espansa a mostrarne il contenuto – Fonte: Mario Inghes)
ad avere un’unica “Summing Stack” da nominare “B”, o direttamente BASS.
(Stack BASS SUM chiusa: notare che, graficamente, rispetto alle tracce normali, una regione stack non riporta la waveform ma delle “righe” orizzontali”, a evidenziare che contiene più tracce – Fonte: Mario Inghes)
La funzione “Create Track Stack” di tipo “Summing” su Logic Pro X fa questo automaticamente e non solo a livello di routing creando e assegnando un bus alle tracce selezionate, ma anche a livello visivo, raggruppando visivamente le tracce in una Stack (“pila”), a vantaggio dell’ordine per un workflow corretto ed una metodica di lavoro efficiente ed efficace.
(Assegnazione di ingressi e uscite su Track Stack di tipo Summing nel mixer di Logic Pro X: le tracce 14, 15 e 16, facenti parte della stack BASS SUM – 13, hanno l’output impostato su BUS 1; la traccia 13 ha l’input impostato su BUS 1 quindi le “riceve” e, dopo averle convogliate, le manda allo Stereo Out. – Fonte: Mario Inghes)
4. EDITING
La definizione di editing è multiforme e può descrivere gli interventi di manipolazione sonora atti a correggere imperfezioni di sincronia, tempo e intonazione, così come gli interventi di pulizia delle tracce atti a rimuovere o attenuare in modo significativo rumori di fondo come chiacchiere e brusio prima che il musicista inizi a suonare, durante le pause di un determinato strumento o alla fine del brano, rientri del metronomo o della base nei microfoni e in generale ogni tipo di rumore non desiderato e diverso da ciò che invece è la performance del musicista.
Sarà necessario tagliare tutte le parti non volute e sostituirle così con del puro silenzio, ma non è tutto: per rendere naturale il passaggio dal suono al nulla e viceversa si dovranno applicare dissolvenze (FADE OUT) e assolvenze (FADE IN) della forma e della durata ideali.
(Taglio e applicazione di FADE IN su Logic Pro X all’ingresso della chitarra in traccia 20; il Region Inspector a sinistra riporta numericamente ciò che è rappresentato graficamente sulla Region selezionata, ossia la durata dell’assolvenza (in millisecondi) e il parametro di curvatura – Fonte: Mario Inghes)
L’editing eseguito a regola d’arte è una di quelle cose che conferiscono una certa professionalità al lavoro e separano il vostro mix da un dozzinale demo casalingo, portandovi verso un sicuro miglioramento della qualità finale.
Ci sono tuttavia delle ragionevoli eccezioni che dipendono dal genere musicale e dall’indole dell’artista, del produttore e dalla natura dell’opera: nel fare un disco punk o lo-fi, per esempio, prodigarsi per ottenere la pulizia maniacale non implica necessariamente che si giunga a un miglior risultato, poiché nessun punk che si rispetti si curerebbe mai di essere perfettino e anzi, probabilmente disdegnerà tutto questo e vorrà fare il contrario, aspirando a trasmettere cose ben più elevate, quali il suo entusiasmo e il suo credo che può sfociare anche in temi di denuncia sociale, e qui lo sporco non solo ci sta tutto, ma diventa addirittura un valore aggiunto che parla di verità.
La stessa cosa può valere per un certo tipo di blues, per il jazz e per quasi tutta la musica underground in cui ci sia sostanza.
Non siate Sanremesi a tutti i costi, siate audaci!
ED ORA… MIXING!!!
Dopo il lavoro sporco, finalmente inizia la fase tecnico-creativa!
Partiamo col dire che un buon mix viene da una buona registrazione, la quale viene da una buona esecuzione e da una buona ripresa; altresì, un buon mix viene da un buon arrangiamento, il quale viene da una buona composizione e da una buona scrittura.
Assumendo che tutto questo si sia verificato, possiamo iniziare a parlare di frequenze ed equalizzatori.
Non essendo tra i miei piani per questo articolo sfornare un trattato di ingegneria, dirò solo che useremo gli equalizzatori per imbrigliare, di ogni singolo strumento, solo le frequenze che ci interessano.
Questo porta a ottimizzare non solo la resa dinamica (snellita di tutto ciò che non serve), ma anche la pulizia e la definizione del mix: ogni strumento sarà messo a fuoco e non ruberà lo spazio agli altri.
Esempio:
sto equalizzando un violino, non mi servono a niente le basse frequenze, allora perché tenerle? Con un equalizzatore applicherò un “filtro passa alto” tagliando anche drasticamente fino a che il suono del violino risulti ancora naturale; che sia il basso a provvedere alle basse frequenze!
Analogamente, sto equalizzando il basso: molto probabilmente dagli 8kHz in su (ma anche prima degli 8kHz) ci saranno quasi esclusivamente rumore di fondo e un senso di aria e brillantezza che sul basso non sta a far niente, quindi filtrerò il suono con un “filtro passa basso”, imbrigliando solo le frequenze del basso che mi servono davvero, creando così un bel suono profondo, che lasci spazio a strumenti che invece beneficerebbero e come del range di frequenze che ho liberato, come ad esempio una voce, dei fiati, un rullante, etc.
(Equalizzazione sulla traccia VOX, una voce femminile: la curva riporta un filtro passa-alto impostato a 215Hz con una pendenza di 24dB per ottava, un’attenuazione attorno ai 1100Hz, un’altra simile attorno ai 5500Hz e un’enfatizzazione attorno 12200Hz per ridare brillantezza alla voce. Tali parametri sono puramente soggettivi e non da intendersi come “must” da seguire per tutte le voci femminili. – Fonte: Mario Inghes)
Dopo aver trattato gli estremi di banda con l’applicazione di filtri passa-alto (HPF: HIGH-PASS FILTER) e passa-basso (LPF: LOW-PASS FILTER) posso iniziare a scolpire gli altri range di frequenze secondo il criterio che sto per descrivere:
da ogni strumento devo ricavare un suono FUNZIONALE AL MIX.
Nel mixing infatti non dobbiamo rendere figo ciascun suono in senso assoluto, ma dobbiamo far sì che sia figo nel mix e per il mix: per far questo, oltre a esser figo di suo, deve essere anche COMPLEMENTARE alle caratteristiche timbriche degli altri strumenti, e possibilmente dovrebbe valorizzare l’intero arrangiamento.
Un errore commesso da tutti alle prime armi, soprattutto se a mixare sono gli stessi musicisti che hanno suonato quel brano, è soffermarsi per ore sul suono della grancassa, o del rullante, o scrutinare in modo maniacale ogni singolo Hz di una chitarra, o di qualsivoglia altro suono o rumore… niente di più sbagliato:
SFORZARSI DI MANTENERE LA PROSPETTIVA GLOBALE DURANTE IL MISSAGGIO RAPPRESENTA IL 70% DELLE DIFFICOLTÀ IN FASE DI MIXING!
Soltanto quando tutto inizia a suonare bene nel complesso, allora ci si può sbizzarrire e scendere nei dettagli in maniera approfondita, ricercata e maniacale. NON prima.
Dopo aver imbrigliato ciascun suono nel proprio range di frequenze ideale e caratteristico allora è possibile passare alle fasi successive, ed il passo naturalmente successivo è quello di fare i livelli di volume per l’intero mix.
FARE I VOLUMI
Prendete a riferimento uno strumento, per esempio il rullante, o l’intera batteria se state usando dei drum loops e/o beat già pronti, o quello che preferite, dopodiché agite alzando o abbassando i volumi degli altri strumenti in relazione ad esso in modo che gli strumenti che ritenete secondari per l’arrangiamento stiano leggermente più bassi dei principali, e che questi ultimi stiano invece sopra.
Date sempre un’occhiata ai meter di ogni traccia, ma imparate a fidarvi maggiormente delle vostre orecchie, perché si mixa con le orecchie: se qualcosa è in rosso, ma vi piace, allora va bene (con cautela); se c’è qualcosa di “sbagliato”, ma vi piace, allora va bene così: siate audaci, consapevolmente.
Quando avete raggiunto un buon compromesso con i livelli, fate una pausa di circa 10-15 minuti per rilassare l’udito, dopodiché ricominciate; se al secondo ascolto siete ancora convinti di quello che avete fatto, provate ad applicare questo trucco:
Alzate o abbassate di 1dB per volta singoli strumenti o sezioni del brano e ascoltatelo: se il pezzo migliora, continuate ad alzare o abbassare sino a quando non sentite che peggiora, o che non migliora più, a quel punto fate un passo indietro e quello è il volume ideale per il dato strumento.
Testate il vostro mix a volumi alti, medi e bassi, prestando attenzione che l’equilibrio fra ogni strumento sia sempre lo stesso, o comunque sempre opportuno, e che ogni passaggio strumentale e vocale sia comprensibile: se ciò non si verifica, fate qualche ritocco e cercate un nuovo compromesso, oppure tornate a lavorare sulle frequenze medie e medio-alte, potreste dover attenuare delle chitarre un po’ troppo mediose e prorompenti, o ravvivare le voci attorno ai 4kHz.
Personalmente io mixo a volumi bassissimi, ma faccio il check a ogni livello, con tre diverse coppie di monitor e anche in cuffia (le mie cuffie di riferimento preferite sono le AKG K701).
Potreste aver bisogno di comprimere o limitare alcuni suoni dall’andamento particolarmente dinamico, come i percussivi e la voce, affinché la loro escursione dinamica si adatti a quella degli altri strumenti, ebbene: sperimentate.
L’utilizzo dei compressori meriterebbe un articolo a sé e sarebbe folle se vi istruissi in tal merito ora e in questa sede, ma posso dare un consiglio e rivelarvi la mia esperienza in merito:
per mia scelta artistica, cerco di centellinare il più possibile l’utilizzo dei compressori e, laddove mi sia indispensabile usarli, cerco sempre di ottenere il suono più naturale possibile, ovvero un suono che alle mie orecchie non possa in alcun modo sembrare compresso;
spesso, in accordo con il mio estro artistico, all’uso di un compressore prediligo l’uso di un saturatore: entrambi riducono la dinamica di un suono in maniera non così tanto differente, ma il secondo può conferire una colorazione più grintosa e “cremosa” allo strumento, lasciando spazio al caos, e “il caos è un’ottima cosa” (Cit. Kevin Flynn – Tron Legacy).
Raramente li uso insieme: “less is more”.
Dopo aver conferito ordine, pulizia, equilibrio e (si spera) un certo carattere al mix, è arrivato il momento di “aprirlo” e costruirne la spazialità:
RICREARE LA SPAZIALITÀ
Tre principali caratteristiche di un mix sono:
-
DIREZIONALITÀ
-
INTENSITÀ
-
PROFONDITÀ
DIREZIONALITÀ
La direzionalità è data dalla collocazione dei suoni nel panorama stereofonico, quindi Left e Right e si attua per mezzo del pan-pot, potenziometro del pan(orama).
Il panning di una traccia mono sposta quella traccia a destra o a sinistra a seconda che il controllo sia ruotato verso destra o verso sinistra;
il panning di una traccia stereo attua invece una modifica al bilanciamento fra il volume del canale destro e quello del canale sinistro, in altre parole, se sposto il pan a destra sto abbassando il volume del canale di sinistra e NON (come si potrebbe pensare) portando il contenuto del canale di sinistra in quello di destra:
per quest’ultima operazione occorrerebbe una channel strip di tipo stereo con due controlli di pan, oppure un plug-in di Stereo Imaging che consenta di applicare direzionalità ai due canali di una traccia stereo: Logic ne ha uno integrato che si chiama Direction Mixer, o “DirMix”.
INTENSITÀ
L’intensità è data dai livelli di volume e dalla media delle dinamiche del complessivo dei suoni che compongono il mix, e di questo abbiamo parlato nel paragrafo “FARE I VOLUMI”.
PROFONDITÀ
La profondità ha invece a che fare con la sensazione di distanza che riusciamo a ricreare nell’ascoltatore, per mezzo di effetti di ambiente utilizzati nel mix: riverbero e delay.
Spostare un suono avanti o indietro nella dimensione della profondità consente di ricreare virtualmente lo spazio in cui si vuol dare l’impressione che il brano sia stato suonato, ma non solo: gli strumenti principali, come la voce, la cassa e il rullante, saranno in primo piano, e il resto occuperà piani retrostanti in modo da conferire una sensazione di pienezza, tridimensionalità e profondità al mix.
I brani professionali, anche quelli con solo tre o quattro strumenti, suonano “grandi” e “spaziosi” anche grazie all’uso consapevole degli effetti d’ambiente, che non sono lì perché fa figo che la voce abbia un qualche eco celestiale, ma sono dei veri e propri strumenti di missaggio al servizio della psicoacustica.
Molti principianti, ma anche ahimè molti “fonici” autodidatti vecchia scuola adottano il riverbero senza cognizione di causa, soprattutto sulla voce, dando una sorta di effetto karaoke natalizio a pezzi che inevitabilmente suoneranno così tremendamente amatoriali e strani…
Fateci caso: accendete la radio e date un ascolto a quello che passa, oppure mettete su il vostro disco preferito, vi accorgerete che in quasi nessun pezzo di successo trovate voci “vistosamente” riverberate. Perché?
Perché in un missaggio eseguito a regola d’arte, chi ascolta non dovrebbe rendersi conto che la voce ha un effetto. Gli effetti d’ambiente sono come una splendida collana addosso a una bella signora: se la collana si nota troppo risulta pacchiana e la signora passa così dal sembrare una bella donna di classe al togliere ogni dubbio che non fosse casomai una signorotta un po’ tamarra.
La stessa cosa vale per gli altri strumenti.
Certo, ci sono le eccezioni, le follie e le licenze poetiche, ma in linea generale, gli effetti di ambiente sono strumenti di mixing e, prima che per ogni altra velleità, essi devono essere usati per soddisfare il criterio di tridimensionalità di un mix. Poi, e solo POI, ci si può sbizzarrire.
COME “SI APPLICA”, DUNQUE, UN RIVERBERO?
Il nome “effetti d’ambiente” suggerisce alla logica che l’ ”ambiente” sia uno.
Ciò significa che nel dosare più effetti d’ambiente è SEMPRE necessario valutare che vi sia una coerenza fra gli strumenti: suonerebbe un po’ strano se la batteria sembrasse suonata in un mini appartamento, le chitarre in un canyon e le voci fossero fatte in una cattedrale, non è vero?
Occorre dare a ciascuna sezione strumentale caratteristiche ambientali compatibili e più precisamente plausibili.
Per fare questo suggerisco di utilizzare il riverbero non “in insert”, ossia non posto tra gli Audio FX di ciascuna channel strip come se fosse, per esempio, un compressore, ma “in aux”, ossia in parallelo, creando una mandata ausiliaria unica per tutte le tracce, dosando di conseguenza la quantità di mandata a QUEL riverbero per ciascuna traccia.
(Le mandate ausiliarie (Sends) delle tracce 20, 21, 22, 23 e 24 vanno alla channel strip del riverbero nominata Aux 5, in cui è attivo il plug-in Platinum Reverb o “PtVerb”; notare che dopo il PtVerb è posto un EQ: questo tipo di configurazione permette infatti un’equalizzazione separata e dedicata per il riverbero, a vantaggio della versatilità e della personalizzazione del suono, cosa che non sarebbe possibile fare in una configurazione di tipo “insert”, in cui lo stesso EQ agirebbe non solo sul riverbero ma su tutto ciò che c’è in cascata effetti, nonché sul suono originale, che invece in questo caso resta intatto. – Fonte: Mario Inghes)
NON è illegale sperimentare più di un riverbero, ad esempio un plate e un hall.
NON è illegale neanche infrangere le regole, quello che conta è che lo si faccia sempre con cognizione e consapevolezza, e non per pigrizia o per ignoranza della tecnica corretta.
STRUMENTI UTILI
Il Natale si avvicina e anche stavolta vi propongo qualche bel giocattolo che potrebbe migliorare le vostre doti di sound engineers e il suono dei vostri pezzi:
BEHRINGER X-TOUCH: senza spendere una fortuna, con questo controller MIDI potete controllare quasi tutte le principali funzioni della vostra DAW. Un acquisto che può semplificare il workflow e farvi dimenticare il mouse; può andar bene anche per i nostalgici dell’analogico che, a fronte dei tempi che cambiano, oggi prediligono lavorare ITB, ma non rinunciano a toccare dei fader.
AVANTONE PRO CLA10: sono uscite da pochi mesi ma già tutti ne parlano, si tratta del remake moderno delle mitiche NS-10M STUDIO, che non hanno bisogno di presentazioni; CLA sta per Chris Lord-Alge, e se ci ha messo la faccia lui, forse ci possiamo fidare. Sono passive pertanto richiedono un finale di potenza adeguato. La Avantone raccomanda l’uso del CLA-200.
KIT DI CORREZIONE ACUSTICA: dieci pannelli e quattro bass traps per migliorare l’acustica della stanza in cui mixate senza stravolgerne il look.
JUSTIN SPS DESKTOP MONITOR STANDS: supporti da tavolo per i vostri monitor da studio, sono molto robusti ed essendo regolabili potete adattare l’altezza dei monitor a quella delle vostre orecchie.
ADAM HALL STANDS PAD: pad per il disaccoppiamento da porre tra gli stand e i monitor, per un suono più neutrale e regolazioni più efficaci.
CONCLUSIONI
Ho cercato di condensare in questa guida alcuni punti chiave, consigli e tecniche per consentire ai novizi di cominciare a mixare consapevolmente e non “a caso”.
Sulla base di quanto sperimento quotidianamente ormai da quasi dieci anni, sia nel lavoro che nelle mie composizioni ritengo che il modo migliore di far tesoro di queste righe non sia fossilizzarsi su esse con una lettura passiva, bensì applicare e sperimentare, senza mai arenarsi troppo su dogmi di ogni sorta.
Mixare bene è un’arte e come tale richiede la padronanza di un gran bagaglio tecnico, ma anche un nitido, spiccato senso estetico-musicale che in questo lavoro si cristallizza davvero solo dopo anni di esperienza.
Guida a cura di Mario Inghes
Apple Certified Pro in Logic Pro X
Music Producer & Sound Engineer
inghes.musica@gmail.com
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Ok adesso è veramente tutto.
Buon lavoro!
Un abbraccio.
Michele
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