Presto o tardi, ogni nuova band sente il desiderio di registrare un brano in casa.
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Le finalità sono molteplici: riascoltarsi per valutare e discutere insieme l’idea di un nuovo pezzo, creare un demo da inviare ai locali o da usare per presentarsi quando si è alla ricerca di un produttore o un’etichetta, o semplicemente creare una raccolta di pezzi da mettere in giro, aprendosi così al giudizio e all’opinione esterna dinnanzi a un ascolto ben più critico, più attento e severo rispetto all’elettrica esperienza di un’esibizione live.
Nessun musicista infatti, prima di aver compiuto questo passo, può davvero ritenersi iniziato al ruolo sociale di artista, fosse anche il pianista più scoppiato del pianerottolo, la cantante più forte del paese, o un supereroe dello Strumento X plurilaureato al conservatorio di qualche città a caso, perché l’approccio musicale alla registrazione è un approccio totalmente diverso dal live e dalle prove, per certi versi asettico, per altri molto professionale… e di certo è sempre altamente formativo. Farlo rende completi.
La prima registrazione del mio primissimo gruppo (una ciurma di tredicenni spettinati che non sapevano suonare) risale a ben diciassette anni fa: ci riunivamo nella storica “saletta di Carlo”, un luogo di culto per almeno tre generazioni, immerso nelle campagne Sarrabesi.
Passavamo rinchiusi lì dentro due ore a settimana, qualche volta tre, a suonare in chiave punk alcuni pezzi dell’album “Hai paura del buio?” degli Afterhours e in generale qualunque altra cosa ci pervenisse (non era così semplice scoprire nuova musica) che fosse in contrapposizione con le metodiche di produzione e distribuzione della musica “di massa”.
Il nostro “metodo” era piazzare un microfono a caso al centro, schiacciare “REC” sulla piastra a cassette della sala, dimenticarsi che c’era un registratore e iniziare le prove. Il microfono era uno Shure PG58, che era poco, che era inadatto, ma noi non lo sapevamo e ce lo facevamo bastare.
A metà delle prove ci fermavamo per girare o cambiare la cassetta e alla fine delle prove speravamo tutti assieme che almeno qualcosa fosse rimasto e che fosse comprensibile! Era un rito magico.
Certamente oggi fa sorridere, ma per quanto suoni anacronistico, la semplicità di questo sistema funziona tuttora e funzionerà sempre. Può tuttavia essere perfezionato ed è quello che faremo:
leggendo e soprattutto usando questa guida imparerete a registrare i vostri brani in autonomia, applicando una serie di metodi che, con i dovuti adattamenti, possono essere usati per ottenere risultati in più generi musicali e con diverse tipologie di strumenti.
Il simpatico aneddoto dei “Delirio” (ci chiamavamo così) qui sopra rappresenta, di fatto, la prima fase del lavoro di registrazione:
LA SCRATCH TRACK
Il primo passo verso la registrazione di un brano è disporre di una “scratch track”.
Per rispetto della tradizione sappiate che esiste, in Italia, qualche personaggio folkloristico che la scratch la chiama “traccia lepre” perché si suppone (…) che la si debba “rincorrere”.
Presto capirete.
La scratch track è una registrazione ambientale non particolarmente accurata, che riprende il vostro brano, acquisito in un’unica traccia (mono o stereo che sia), in cui siano presenti tutti gli strumenti E (molto importante) la voce. Non è importante che l’esecuzione sia precisa o corretta, l’importante è che rispecchi al 100% la struttura del pezzo, che tenga il tempo e che abbia un bel groove.
In soldoni, dovete, per il momento, solo piazzare un microfono in sala e suonare.
Essendo una ripresa ambientale “globale” non è possibile separare gli strumenti: la si può soltanto pulire, equalizzare e comprimere, allo scopo di far emergere determinate bande di frequenza e quindi determinati strumenti su altri, passaggio quasi obbligato in quanto, spesso, la grancassa nella scratch track tende a rimanere “sotto”.
A cosa serve la scratch track?
Se siete fortunati e non avete particolari esigenze di produzione, potrebbe già quella essere una buona acquisizione del vostro talento da sfruttare come demo, soprattutto se foste un duo acustico.
Ma di fatto la scratch track funge da riferimento per i musicisti, che la dovranno “rincorrere”, o meglio, usare come “base” su cui suonare durante la registrazione vera e propria, che si fa in “multi-sessione”: ciascuno strumento ha la sua sessione di registrazione e suona da solo, senza gli altri.
La scratch track si usa un po’ come un “metronomo”, ma più accattivante e, soprattutto, indicativo della struttura del brano, dei cambi, delle durate, con l’importante riferimento vocale del cantato, il che è utilissimo per orientarsi nei cambi se il pezzo non lo si conosce ancora perfettamente a memoria in ogni sua parte strumentale, etc.: suonando tendiamo infatti, inconsciamente, a seguire la voce.
COME SI REALIZZA E COME SI USA LA SCRATCH TRACK
Per realizzare la scratch track in autonomia e senza mettere mano al portafogli, il metodo più semplice e al passo coi tempi oggi è usare il proprio smartphone, collocato in uno “sweet spot” della sala (il punto, o uno dei punti in cui si sente “bene” tutto quanto), schiacciare “REC” e suonare.
In alternativa allo smartphone, e potendo affrontare una modica spesa, esiste un ottimo registratore portatile dotato di funzionalità molto interessanti, l’intramontabile ZOOM H2N: ogni musicista dovrebbe possederne uno.
La ricerca dello sweet spot si fa un po’ per tentativi, un po’ per intuito e un po’ tenendo conto delle caratteristiche del registratore in merito alla sensibilità e alla figura polare del microfono integrato.
Una volta che l’avete acquisita, sarà necessario importarla in DAW sul vostro computer (o su un registratore di altra tipologia) e usare quella come riferimento per far registrare, singolarmente, tutti i musicisti; bisogna proprio suonarci sopra, esattamente come quando si studia una canzone per le prime volte.
PREPARARSI ALLA REGISTRAZIONE MULTITRACCIA(Creazione nuovo progetto con template “Multi-Track” su Logic Pro X – Fonte: Mario Inghes)
Da questo punto in poi dovrete disporre di un minimo di strumentazione:
sempre supponendo che intendiate lavorare con un computer e non con un sistema analogico o con un registratore digitale multitraccia, vi servirà innanzitutto un’interfaccia audio USB con un numero sufficiente di ingressi, ed il mio consiglio ricade decisamente su una TASCAM US-16×08.
Dovrete poi disporre di un paio cuffie chiuse da recording, almeno una D.I. Box e un assortimento di microfoni con i quali registrare; elenco di seguito alcuni consigli per l’acquisto che, se pur rappresentano soluzioni a budget limitato senza troppe pretese consentiranno, sia ai novizi che a mani e orecchie più consapevoli, di ottenere risultati di tutto rispetto:
- CUFFIE CHIUSE DA RECORDING: AKG K52
- D.I. Box: ART dPDB (adatta anche per esser usata dal vivo)
- SET COMPLETO PER BATTERIA Gear4Music (adatto anche per esser usato dal vivo)
- KIT MICROFONO A DIAFRAMMA LARGO PER ROOM E VOCE: RODE NT1A (necessita di asta)
Alla lista dell’occorrente, ovviamente, dovrete aggiungere i cavi, ma quelli li avete già.
LA SEZIONE RITMICA DI BATTERIA E BASSO
Le sessioni di registrazione vere e proprie iniziano dalla sezione ritmica, perché essa rappresenta lo scheletro, le fondamenta di un pezzo, quindi i primi a registrare “bene” saranno batterista e bassista.
Il batterista avrà in cuffia la scratch track e sarà il primo a suonarci sopra, mentre qualcun altro del gruppo starà dietro al computer (o a un registratore di altra tipologia, il procedimento non cambia) occupandosi di seguire la registrazione in corso e di gestire eventuali riprese (take, punch in/out, etc.) e veloci interventi editing se necessari.
CONSIGLI SULLA MICROFONAZIONE DELLA BATTERIA
PREMESSA: la microfonazione a regola d’arte della batteria è una virtù per pochi eletti dalle orecchie d’oro, che richiede pratica e tanto, tanto studio, pertanto non la tratterò in questa sede, sostenendo con una certa dose di esperienza che il miglior modo di imparare davvero sia esclusivamente quello di praticare accanto a un veterano: se vi ci volete dedicare veramente, il mio consiglio è trovare e seguire in studio un produttore artistico il cui sound vi cattura mente e cuore.
(Drum Miking al V-Studio – Cagliari: si notino gli overhead in configurazione NOS (Nederlandse Omroep Stichting) sopra la batteria e due AKG C414 posizionati a distanza secondo tecnica M/S (Mid/Side) – Fonte: Villy Cocco)
Se non c’è nessun Glyn Johns nella vostra città non disperate, potete ancora fare grandi cose, da soli, in casa o in saletta e senza pregare un tecnico-produttore artistico perché vi faccia da insegnante: è infatti possibile reperire pressoché ovunque, tramite ricerca sul web, infinite fotografie di configurazioni standard da cui attingere per iniziare a sperimentare. Digitate “How to mic drums” su Google Immagini e vi si aprirà un mondo… forse vi sarà concesso anche di sbirciare la configurazione di batteria del vostro gruppo preferito!
Per inciso, il set di microfoni per batteria che vi ho consigliato poc’anzi nel capitolo “PREPARARSI ALLA REGISTRAZIONE MULTITRACCIA” non offre particolari possibilità di soluzioni creative, in quanto ogni microfono ha già la sua clip da fissare sui fusti e si può giocare esclusivamente con l’angolazione e la distanza, ad eccezione del microfono per la grancassa, che ha un’asta nana dedicata, e degli overhead che hanno ciascuno la propria.
Consiglio di installare ciascun microfono sul relativo fusto attenendosi senza riserve alle istruzioni del kit e di sperimentare con gli overhead partendo inizialmente dagli schemi delle tecniche di ripresa stereofonica di tipo “AB” e “XY” per poi discostarvi e fare degli esperimenti. Gli schemi delle suddette tecniche sono anch’essi reperibili gratuitamente in rete, assieme ad ampia documentazione sia testuale che video.
Un’altra ottima fonte da cui attingere, visto che non esiste solamente Google né solamente internet, è il meraviglioso libro di Bobby Owsinski “The Recording Engineer’s Handbook”, un titolo che inserirei tranquillamente nella lista di libri che mi hanno cambiato la vita!
ROOM MIC(S)
Un microfono (o due) a condensatore a diaframma largo posto a distanza di alcuni metri dalla batteria potrebbe essere un’ottima soluzione per riprendere le caratteristiche dell’ambiente; l’acquisizione risultante sarà una traccia che, opportunamente mixata al resto della batteria, vi permetterà di dare una certa consistenza e un maggiore senso di autenticità al suono. Questo microfono è detto “room mic” (stanza) e non è “obbligatorio” adottarlo. Va bene L’NT1A della lista sopra.
TRASH MIC
Il “trash mic” è un “microfonaccio”, generalmente un dinamico, atto a fare una ripresa “sporca” della batteria, posizionato spesso casualmente, e meno spesso attorno a uno sweet spot all’interno della stanza. Lo scopo della traccia risultante è prettamente creativo e si presta bene a incattivire la batteria in generi alternative-rock alla Guano Apes e affini. Soprattutto se ben compresso e tenuto “sotto” in fase di missaggio, il trash mic potrebbe essere una manna dal cielo se quello che cercate è la cattiveria. Provate con un SM58, o sperimentate con quello che avete già a disposizione.
Naturalmente, nessuno vi vieta di utilizzarlo anche per riprendere l’intero ensemble o strumenti diversi dalla batteria: sperimentate, abusate e sbizzarritevi.
REGISTRARE IL BASSO
(L’autore durante una sessione di basso elettrico nel 2014, alla sua destra un registratore a nastro 2” su 24 piste AMPEX MM-1200 – Fonte: Mario Inghes)
Il primo passo sul fronte tecnico è quello di fare le connessioni audio. Il basso si può acquisire in svariate maniere, dal line out della testata, microfonando l’ampli (potreste tranquillamente usare il microfono per la grancassa), dall’uscita dei pedali, con un pre-amp dedicato, in D.I. o con una combinazione a piacere fra queste;
il mio consiglio è, vivamente, di acquisire il basso in D.I. box, semplicemente collegandovi il basso ed entrando nell’interfaccia audio, stop: è un metodo semplice, economico, silenzioso, alla portata di tutti, qualitativamente impeccabile e di sicura efficacia. Potrete trattare il suono acquisito in D.I. successivamente in mixing, per conferirgli la colorazione che preferite.
Sul fronte prettamente musicale, la prassi nel seguire la scratch track è la stessa che ha seguito il batterista, ma con alcune indicazioni extra.
Il bassista dovrà, infatti, attenersi alla batteria appena acquisita e NON alla batteria della scratch, che potrebbe essere leggermente diversa o imprecisa, o sfasata rispetto alla definitiva.
Al contempo, però, il bassista potrebbe voler comunque beneficiare della scratch, perché magari ha bisogno della voce per orientarsi meglio durante lo scorrere della canzone (ESTREMAMENTE probabile), quindi la scratch gliela dobbiamo dare, e qui sorgono due problemi principali:
- Di norma, il basso segue la grancassa, ma qui la batteria della scratch e la batteria nuova si sovrapporrebbero, creando un pastone il cui ascolto renderebbe la vita molto difficile al bassista!
- Il bassista sentirebbe il suo basso, più il basso della traccia scratch, e questo credetemi è odioso per chi ha a che fare con le basse frequenze, non ci capirebbe niente.
Per far sì che il bassista possa avere in cuffia sia la nuova batteria che la traccia scratch MA SENZA soffrire delle sovrapposizioni tra la grancassa nuova e la vecchia, e per far sì che egli possa suonare senza ri-sentire odiosamente il vecchio se stesso della scratch, dovete applicare, con un equalizzatore, un filtro passa alto molto marcato (pendenza di tanti “dB/Oct” quanti l’eq in questione consente) sulla scratch track per “cancellarne” tutte le basse frequenze e quindi le “formanti” di grancassa e basso, come nell’immagine seguente:
(Filtro passa alto o High-pass Filter / “Low Cut”: i valori qui indicati sono solo un esempio, spostatevi con gli Hz a destra o a sinistra in relazione a quante basse frequenze volete tagliare – Fonte: Mario Inghes)
Avete appena risolto un grosso problema.
Se non avete dimestichezza con gli equalizzatori e non siete capaci di fare ciò non disperate, perché c’è ancora una possibilità: fate registrare al cantante una traccia di sola voce, momentanea, aggiungetela al mix e date quella, in cuffia al bassista.
Seguire il canto rende le registrazioni molto più semplici quando non si è ancora pienamente capaci di eseguire il pezzo senza riferimenti.
Fatto?
Ora potete anche cancellare la scratch track, oppure tenetela bassa (che può sempre esser utile).
E dopo la batteria ed il basso vengono le chitarre, in primis la…
CHITARRA ELETTRICA RITMICA
REGOLA N.1: le chitarre ritmiche si registrano DUE volte. Non un copia e incolla, ma proprio si registrano DUE volte: due diverse tracce della stessa parte che, “pannate” rispettivamente una Left e una Right e trattate opportunamente con un delay daranno un’apertura stereofonica decisamente gratificante al mix (VEDI IMMAGINE SEGUENTE).
(Screenshot della sessione di missaggio tratta dal progetto didattico di “Fonia e Produzione Musicale” del Sarrabus, zoom sulla configurazione delle chitarre ritmiche – Fonte: Mario Inghes)
La registrazione della chitarra elettrica non è una scienza esatta: so per gavetta personale che, per un novizio alla pratica della registrazione, la ricerca del suono della chitarra elettrica potrebbe essere totalmente estenuante e demoralizzante, più di qualsiasi altro strumento, pertanto suggerisco un metodo che, se non vi salverà la vita, quantomeno ve la semplificherà tantissimo:
REGOLA N.2: utilizzare una D.I. Box per acquisire il segnale “pulito” della chitarra nella DAW e per splittare, e mandare al contempo, il segnale della chitarra anche all’amplificatore del chitarrista.
In questo modo il chitarrista avrà il piacevole feeling di suonare sentendo un timbro che gli piace e che conosce, questo farà sì che la sua esecuzione sarà molto più bella e spontanea rispetto a che se suonasse frustrato da un qualsiasi altro sound che non è il suo: i chitarristi non sono mai di natura persone del tutto equilibrate e sono per questo “ricercatori” nati, estremamente influenzabili dal sound e lunatici, quindi fidatevi e, per il momento, fate così.
Al termine della sessione voi avrete acquisito l’esecuzione del chitarrista con il suono pulito della chitarra, “DRY” per l’appunto, ossia esattamente come esce dai pick-up della chitarra:
questo vi consentirà di mandare il suono pulito, precedentemente registrato e corrispondente all’esecuzione definitiva del chitarrista, a un Amp-Simulator digitale, o a un amplificatore vero per fare un “reamp”.
Potrete così dedicarvi con tutta calma alla ricerca del suono di chitarra perfetto per il vostro brano senza stressare il chitarrista in quanto l’esecuzione buona l’avete già presa e, mettendola in play e mandandola all’ingresso dell’ampli, sarà esattamente come se ci fosse il chitarrista a suonare, mentre voi spippolate con le manopole e con la microfonazione dello stesso fino a ottenere IL suono.
(L’autore fotografato prima di un reamp, durante il posizionamento dei microfoni di fronte al cono di una cassa 4×12 per chitarra elettrica – Fonte: Mario Inghes)
Cosa fare se al giusto sound non ci arrivate?
Ricordatevi una cosa: il 99,9% delle volte il suono che piace al chitarrista NON è il suono che serve al mix. Probabilmente coprirà altri strumenti, oppure verrà fuori impastato e confuso, non avrà definizione e alcune note non si sentiranno bene. Prima di entrare in una spirale negativa deleteria per tutti e per i tempi di realizzazione del vostro lavoro, considerate di affidare il sound design delle chitarre a qualcuno che lo fa di professione:
Produttori artistici e tecnici del suono sono quegli strani individui la cui specialità è far suonare i vostri brani come quelli di un disco vero: va bene che mi diciate che voi non ne siete capaci, ma adottando il metodo della D.I. potrete mettere a colpo sicuro nelle mani di uno forte il “dry” del chitarrista, affinché sia libero di scolpire il timbro giusto per voi.
Il costo medio di un reamp è irrisorio rispetto al tempo che perdereste a cercare di farvi da soli e senza esperienza un suono di chitarra davvero convincente, e i vantaggi sono palesi anche in termini di scelta: uno studio di reamp serio dispone di molti più amplificatori, molte più casse, molti più microfoni e molti più gingilli elettrici/elettronici di quanti voi ne potrete mai acquistare e imparare a conoscere e usare in anni di musica.
Teoricamente, al costo di un paio di SM57 (che non è detto che poi sarete in grado di usare) potreste avere direttamente un suono in grado di competere con quello di Petrucci in “Pull Me Under”.
Ovviamente, rivolgersi a uno studio di reamp ha senso soltanto al termine delle registrazioni (o anche loro, per quanto visionari possano essere, non saprebbero che pesci pigliare).
CHITARRA ELETTRICA SOLISTA
(2016: l’autore intento a carpire i segreti della chitarra da Steve Vai – Fonte: Giuseppe Kotzia )
Nella categoria della chitarra solista rientrano tutti gli arpeggi, i fraseggi, le armonizzazioni e gli assoli che non assolvono in via principale a una funzione ritmica. I metodi per l’acquisizione delle parti di chitarra solista sono essenzialmente gli stessi della chitarra ritmica, tranne che per il doppiaggio, che non è richiesto in quanto non è quasi mai davvero necessario in fase di mixing.
Doppiare un assolo, infatti, oltre che essere un controsenso complicato da farsi, potrebbe anche essere controproducente per il mix, laddove per una mania di onnipotenza del chitarrista ci si ritrova poi con una sovrabbondanza di frequenze medio-alte che non servono a nessuno.
CHITARRA ACUSTICA (RITMICA E SOLISTA)
(Zone di microfonazione della chitarra acustica suddivise per caratteristiche timbriche – Immagine tratta dal web, fonte: “tvvoodoo”)
La chitarra acustica, se pre-amplificata, può essere acquisita in linea diretta con l’ausilio di una D.I. Box e un cavo, ma io sconsiglio fortemente questo metodo (che invece va bene in un live), in quanto prediligo fortemente la naturalezza di una buona ripresa microfonica.
La ripresa microfonica di una chitarra acustica si fa solitamente con uno o due microfoni a condensatore. Esiste una vastissima documentazione in merito alla microfonazione della chitarra acustica, ma l’invito è sempre lo stesso: sperimentate.
Personalmente faccio la chitarra acustica con l’ausilio di un microfono a condensatore unidirezionale con diaframma stretto, a puntare perpendicolarmente una porzione di cassa armonica compresa fra la buca ed il ponte.
La distanza a cui lo posiziono varia in relazione alla parte da registrare: per ritmiche energiche e suonate col plettro mi tengo a una distanza compresa fra i 30cm e i 50cm, per parti arpeggiate o particolarmente lievi mi tengo molto più vicino.
Le migliori chitarre acustiche che io abbia mai realizzato le ho fatte utilizzando un XXL XC-97 prima serie: un obsoleto microfono italiano ormai fuori produzione; una valida alternativa odierna, dal marchio affidabile e dal prezzo facilmente accessibile, è rappresentata dall’AKG P170.
Non occorre andare su modelli iper-costosi: sappiate che il suono di molte chitarre acustiche famose, tra cui alcune fra quelle di Amy Winehouse, viene da un volgare dinamico Shure SM57, successivamente (sempre) opportunamente trattato in fase di mixing.
TASTIERE E SYNTH
(Connessioni MIDI tra Roland U-20 (slave) e computer (master), attraverso una MIDISPORT 2×2 – Fonte: Mario Inghes)
CASO 1: il timbro che volete utilizzare è generato da un VSTi e la tastiera che state usando fa le veci di un semplice controller.
Collegate un cavo MIDI dal MIDI OUT della tastiera all’interfaccia MIDI-USB di vostra adozione che a sua volta sarà connessa al computer, oppure, se il vostro controller è dotato di un’interfaccia MIDI-USB interna, collegate un cavo MIDI-USB dalla tastiera al computer, dopodiché schiacchiate “REC” e suonate: il sequencer della DAW si occuperà di acquisire i “messaggi MIDI” relativi alla vostra performance e controllare il VSTi: la generazione del suono sarà interna alla DAW quindi non ci sarà nessun’altra connessione audio da effettuare.
CASO 2: il timbro che volete utilizzare è generato dalla tastiera stessa (o synth). In questo caso potreste scegliere due strade:
A) Suonarla voi durante lo scorrere della registrazione
B) Inviare al generatore di suoni una sequenza MIDI pre-registrata e editata e quindi, volendo, anche quantizzata e resa “perfetta”, attraverso la porta MIDI IN o MIDI-USB (se presente).
Sia per la strada “a” che per la strada “b”, nell’acquisire l’audio risultante potete andare dritti dalle uscite audio della tastiera agli ingressi della vostra interfaccia audio (o del registratore).
Si tenga presente che utilizzare le uscite preposte allo scopo non è sempre la cosa migliore: ho scoperto negli anni di preferire, su molti tipi di expander, sintetizzatori e tastiere vintage, l’uscita cuffie alle uscite di linea; questo perché l’uscita cuffie dispone di un circuito di pre-amplificazione diverso dalle uscite di linea e, seppur non tecnicamente adatto allo scopo, qualitativamente potrebbe risultare migliore delle uscite “LINE OUT / DIRECT OUT”… o peggiore: sperimentate.
In caso di ronze e/o altri rumori dovuti a problemi di massa o connessioni precarie, dopo aver avuto premura di risolvere quante più lacune tecniche possibili, se il problema persiste potreste entrare in una D.I. e uscire da quest’ultima con cavi bilanciati XLR diretti agli ingressi microfonici del vostro sistema di registrazione.
“D.I. Box sulla tastiera, ok, ma… Stereo o Mono?”
Spesso l’output delle tastiere è un finto stereo, ossia un output costituito sì dai due canali L e R, ma di fatto trasportanti segnali identici; la stereofonia di un sintetizzatore è spesso data da effetti interni quali chorus, delay e vari tipi di riverbero il cui settaggio spetta a voi: istruzioni alla mano, entrate nelle impostazioni delle patch e sperimentate.
Se siete in presenza di un suono fake stereo o di una componente stereo che ritenete trascurabile, acquisite in mono a cuor leggero: potrete “aprire” il suono in un secondo momento, durante il mix, con uno stereoizer, riverberi e/o effetti di modulazione quali ad esempio un chorus o un leggero flanger.
NOTA: la tecnica chitarristica di doppiare la parte per creare apertura stereo, su una tastiera non darebbe risultati interessanti: a meno che non stiamo parlando di un sintetizzatore analogico, suonare due volte la stessa parte significherebbe ripetere due volte lo stesso campione digitale, il che è quasi come fare un copia-incolla e vi darebbe solo problemi di fase.
VOCI
(Screenshot della sessione di missaggio tratta dal progetto didattico di “Fonia e Produzione Musicale” del Sarrabus, zoom sulla configurazione delle voci – Fonte: Mario Inghes)
L’ultima fase delle registrazioni riguarda le voci.
La voce principale e tutte le secondarie (cori, doppie e “sporche”) si fanno alla fine per garantirsi il beneficio che apporta, alla performance del cantante in termini di impatto e coinvolgimento emotivo, cantare su un arrangiamento completo piuttosto che su una “specie di bozza”;
per la stessa ragione sarà necessario anche fare un missaggio preliminare delle tracce strumentali registrate sino a questo punto, in modo che il cantante sia messo in condizioni di cantare ascoltando una base di qualità, gradevole ed emozionante: se desideri leggere un approfondimento sul mixing, prima di proseguire con la registrazione delle voci, leggi la mia guida Come Mixare in Casa Spendendo Poco | GUIDA INTRODUTTIVA AL MISSAGGIO
SUGGERIMENTO N.1: sappiate che doppiare (e a volte triplicare) la voce principale è un’ottima idea, soprattutto sui ritornelli, per trattare le voci in maniera simile a quanto suggerito in precedenza nel capitolo relativo alla chitarra elettrica ritmica. Sperimentate la stessa tecnica anche con le doppie, registrando più volte una stessa parte: è meglio averne tante, tanto potrete sempre decidere, in fase di mixing, di non utilizzarle, ma se non le fate, non potrete averle affatto!
SUGGERIMENTO N.2: essendo la voce uno “strumento” particolarmente dinamico rispetto al resto degli strumenti finora registrati, suggerisco l’inserimento di un compressore di dinamica nel canale di riascolto per il cantante mentre canta; un leggero delay e/o un riverbero, inoltre, potranno aiutarlo a sentirsi maggiormente “nel pezzo”, a vantaggio ulteriore del coinvolgimento emotivo durante la sua performance di canto.
Raccomando nuovamente di inserire gli effetti IN RIASCOLTO, ossia nella traccia di voce che va alle cuffie del cantante perché si possa ascoltare mentre canta, e NON prima del sistema di registrazione, per una ragione elementare: se inseriste una compressione o ulteriori effetti tra il microfono e l’interfaccia non sarebbe più possibile tornare indietro e “toglierli” a voce acquisita nel caso scopriste, in mixing, di esservi sbagliati.
Per un approfondimento sulla registrazione vocale ti raccomando di consultare la mia guida “Come Registrare la Voce, LA GUIDA DEFINITIVA” .
Guida a cura di Mario Inghes
Apple Certified Pro in Logic Pro X
Music Producer & Sound Engineer
inghes.musica@gmail.com
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Ok adesso è veramente tutto.
Buon lavoro!
Un abbraccio.
Michele
Fantastico